- Aprile 30, 2025
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“Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano”. È questa frase, tratta dal libro Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, che campeggia sul muro portante dell’ufficio di Amalia Falzarano, dirigente scolastica dell’Accademia dei Giorni Felici. Un monito per tutti gli adulti che ne varcano la soglia: sospendere le valutazioni superficiali, l’autoritarismo da impazienza, l’accontentamento sbrigativo e deresponsabilizzante, rammentando – anche solo per un attimo – cosa significhi trovarsi dall’altra parte della cattedra. Sentirsi piccoli, spesso impotenti, troppe volte malgiudicati, ma anche entusiasti delle nuove scoperte e un po’ incoscienti. Ritornare bambini, per mettere al centro di tutto il benessere degli ospiti di questo istituto scolastico.
È dal 2015 che la dott.ssa Falzarano guida la scuola avellinese con amore e dedizione, circondata da uno staff altrettanto coinvolto. Perché è a scuola che i bimbi passano gran parte della loro giornata, una settimana dopo l’altra, per mesi, ed anni, ed è per questo che non possono esistere vie di mezzo. Che sia una missione, o che non sia.
D’altronde, è proprio con lo spirito di un’eroina al salvataggio che Falzarano ha iniziato il suo viaggio, rilevando la scuola quando era in piena crisi e riportandola alla serenità degli esordi.
Dottoressa, com’è iniziato il suo percorso con l’Accademia dei Giorni Felici?
Quand’era ancora solo scuola per l’infanzia, da mamma di un bambino che la frequentava. Poi, improvvisamente, nel 2015, venne chiusa. Da laureata in Psicologia con esperienza nel Sostegno, lavorare con i bambini è sempre stata la mia vocazione. Decisi, nell’arco di una settimana, di rilevare l’istituto e provare a guidarlo, per restituire alla città un luogo che aveva una storia importante, una solidità sul territorio, dove i bimbi potessero crescere serenamente. Ho riunito le maestre e, anche grazie al grande supporto di mio marito, mi sono lanciata in quest’avventura.

Non è stato per niente facile, immaginiamo…
Il 5 Settembre 2015 ho inaugurato una scuola, compreso il servizio mensa, che avevo ereditato soltanto sette giorni prima. Quando aprii la porta per verificarne le condizioni non c’erano nemmeno i mobili. Siamo stati giorno e notte a lavorare per riaprire in tempo, e tutti i lavori di ristrutturazione sono stati a carico mio, non ho ricevuto nessun finanziamento pubblico. Ma immaginare di chiudere questa scuola per sempre mi sembrava davvero un atto di inciviltà. Un ruolo molto importante, in questa rinascita, lo ha avuto Stefania Testa, amica e collaboratrice insostituibile, che si occupa dell’amministrazione. Lavoriamo spalla a spalla e mi fido ciecamente di lei.
Da quel giorno sono passati 6 anni. Adesso com’è lo “stato di salute” dell’accademia?
Quando abbiamo ricominciato avevamo 20 bambini iscritti, e in realtà 15 frequentanti. Con 7 maestre, perché la sfida era stata anche quella di non licenziare nessuna. Oggi, la scuola è cresciuta, perché ci sono state famiglie che hanno creduto in noi, soprattutto in me – che in quel momento rappresentavo il volto nuovo della scuola, dato che le docenti erano quelle storiche – e questo ci ha permesso di ingrandirci. L’Accademia adesso ha due sedi, a via Ferrante e a via D’Agostino, e ha aggiunto alla scuola dell’infanzia anche il nido e la scuola primaria. Pian piano continuiamo a crescere, ma sempre mantenendo ben salda l’idea di partenza: essere una famiglia. Certamente la pandemia ci ha messo molto alla prova, emotivamente ed economicamente, ma siamo pronti a ricominciare con l’entusiasmo di sempre.
Qual è l’offerta formativa della scuola?
Ormai proponiamo un vero e proprio percorso, ci sono allievi che prendiamo in carico quando hanno pochi mesi e li lasciamo andare a 10 anni compiuti. Per i bambini del nido e della scuola dell’infanzia si parte alle 7.30 del mattino e si termina alle 16.00; I più grandi, della primaria, iniziano le lezioni alle 8.00 e in base al programma escono alle 16.00 o alle 16.20. Vengono divisi in gruppi a seconda dell’età, e la maestra che li prende in carico nella classe dei 2 anni – quando inizia l’asilo – li accompagna fino al termine di questo ciclo, per dare continuità ai progetti e consentire agli allievi di mostrare tutto il loro potenziale nel corso del tempo. Poi si passa alla scuola elementare e lì inizia il percorso canonico, ma rimane fondamentale per noi mettere al centro le attitudini del singolo. Abbiamo anche dei laboratori extracurriculari. Quello di karate, in collaborazione con la Fotino Academy. Il corso di chitarra e crescita musicale. Oppure il corso di inglese con docenti madrelingua, in partnership con la sede di Lioni della scuola “Helen Doron” e improntato su metodi che utilizzano il gioco: proprio quest’anno abbiamo avuto le prime classi che hanno conseguito la certificazione Cambridge. Al termine dell’anno accademico attiviamo i campi estivi, sempre divisi per età.
Aggiungo che il servizio mensa è interno, tutto è cucinato in giornata perché non usiamo alimenti congelati e i nostri fornitori sono piccoli commercianti della zona. Ho sempre voluto che i bambini mangiassero come a casa loro, con prodotti locali di buona qualità.
A proposito del metodo utilizzato nel percorso formativo, ha affermato che all’Accademia dei Giorni Felici ci occupa dei bambini in quanto tali e non di “piccoli adulti”. Spieghiamo meglio questo concetto.
La nostra società considera spesso i bambini come persone che debbano avere già funzioni adulte. Il gioco viene visto come un fastidio, la creatività viene frenata in favore dei soli doveri. Qui i bambini sono bambini. Devono giocare, sporcarsi, creare, inventare, dare sfogo alla fantasia e alla loro soggettività. È fondamentale utilizzare le mani: terra, colori, tutto va “manipolato”.
Quanto è importante la singola personalità degli allievi?
I bambini non sono dei robot da omologare. Consideriamo centrale la loro individualità, devono esplodere nelle loro attitudini. Da dirigente, devo considerare che se ad un bambino non piace il laboratorio di musica dovrò proporgli quello di pittura. La scuola plasma il loro avvenire, sono gli adulti di domani, e devono essere il più sani possibile. Per lo stesso motivo, non ho voluto imporre la divisa alla scuola dell’infanzia. Alla primaria è diverso, c’è un rito di passaggio, è una questione di senso di appartenenza e i bambini non devono distinguersi dalla marca di quello che indossano. Ma per i più piccoli, una volta detto alle famiglie di vestirli in modo comodo, come se fossero in casa, va bene così. Perché obbligarli a quei grembiuli che li limitano nei movimenti, a quei fiocchi scomodi? Io stessa li ricordo con orrore, quando avevo la loro età.
Parliamo della pandemia: dato il suo ruolo, ha avuto e sta avendo ancora un posto in prima fila sugli effetti del fenomeno sui bambini più piccoli. Ci restituisce una riflessione in merito?
I bambini hanno bisogno di socialità, di relazionarsi con gli altri. Si sono improvvisamente trovati a vivere in un ambiente di paura e ostilità, perché c’era un nemico invisibile da combattere (loro che neanche riconoscono quelli “visibili”). Per questo, appena passata la prima fase, quella più critica, qui all’Accademia ci siamo battuti per mantenere la scuola aperta il più possibile. Non per incoscienza, ma perché gli effetti di queste misure, psicologici e fisici, sono e saranno importanti su esseri umani in fase di crescita. La paura dell’altro, ad esempio. Mentre condivisione, collaborazione e fare gruppo sono valori sui quali abbiamo sempre lavorato. Ancora, l’alienazione, dovuta alla trasposizione di gran parte della loro vita in una dimensione virtuale: avere come unico aggancio al mondo esterno uno schermo comporta danni a livello neurale, e anche in termini di isolamento sociale. I loro corpi, benché giovanissimi, ne hanno risentito. Ho inserito nel programma dei campi estivi il risveglio muscolare, uno stretching dolce, e loro non riuscivano a reggerlo, arrivando a fine giornata stanchissimi e pieni di dolori, perché non sono più abituati al movimento. Sono aumentate la rabbia, il senso di frustrazione per qualcosa di incomprensibile, gli sfoghi anche violenti. Inoltre, con la DAD o la DID, avere continuamente la restituzione della propria immagine sullo schermo ha logorato l’autostima di molti bambini. Chi, nel corso dei mesi, ha indossato gli occhiali o l’apparecchio ai denti, si è sentito costantemente osservato, giudicato perché, ogni giorno per tante ore, era come posto sempre davanti ad uno specchio. C’è bisogno più che mai di supporto, in famiglia e a scuola.

